Il canale, la pesca
Qualcuno ha detto che l’unico, vero monumento di Cesenatico è il Portocanale. In parte è vero: il portocanale è la ragione d’esistere della città, la sua origine e l’unica zona del suo sviluppo economico, basato per secoli sul commercio marittimo e sulla pesca. Come porto commerciale Cesenatico non esiste quasi più: le ferrovie e soprattutto le autostrade hanno spostato le merci verso altre rotte più terrestri, e non solo in Italia, mentre al mare sono riservati i grandi e voluminosi scambi commerciali affidati alle gigantesche navi portacontainers che a Cesenatico proprio non ci entrano. In questo senso Ravenna, col suo porto contornato dalle raffinerie, ha stravinto. La storia della pesca continua, anche se con modalità e quantità diverse. Di questa storia il portocanale è oggi una splendida testimonianza: nel tratto tra i due ponti del centro storico vi è infatti allestito, con le restaurate barche della tradizione, un delizioso museo galleggiante, che si completa nel Museo della Marineria affacciato sullo stesso canale. È una risorsa, quella della pesca, da sempre molto importante, tanto che agli abitanti del luogo sono stati innestati pescatori provenienti da altri regioni i quali hanno formato nei secoli vere e proprie colonie: la più importante è stata quella dei chioggiotti, proveniente da una città, Chioggia, dove le tecniche e l’abilità nella pesca erano molto sviluppate anche perché la sua ingombrante vicina, Venezia, aveva interdetto agli abitanti di questo splendido paese altrettanto lagunare ogni attività commerciale, di cui i veneziani intendevano mantenere il monopolio. Quando poi, nel dopoguerra, la tecnologia ha spinto pian piano i pescatori a sostituire le barche a vela con le attuali imbarcazioni a motore, l’immigrazione di pescatori a Cesenatico è stata di origine marchigiana.
Se non possiamo ritenerci d’accordo sul fatto che il canale sia l’unico monumento di Cesenatico, è pur vero che intorno ad esso ruotano gli edifici di maggior interesse della città. Ad esso si affaccia la chiesa principale, ad esempio, quella di San Giacomo, risalente probabilmente al XV secolo, ma rifatta nel Settecento, capofila di una decina di luoghi di culto che esistevano a quei tempi in città. Che la chiesa sia in riva al canale è fortemente simbolico: ci dice quanto le tradizioni popolari, dei pescatori come dei loro colleghi poveri dell’interno, i contadini, fossero radicalmente religiose, a tratti in contrasto con una classe alta che frequentava le ostesse. Una fede cristiana robusta e semplice, che sembrava pregare anche quando bestemmiava, caratterizzava questi pescatori, romagnoli, veneti o marchigiani che fossero. Ne è efficace testimonianza una poesia di Leo Maltoni, scritta nel dialetto della città, in cui anche un tradimento coniugale è vissuto in questo orizzonte:
La fede nuziale
Gli aveva promesso
di scaldargli il cuore
per sempre.
Invece l’ha abbandonato.
E Gisto, il pescatore,
nel buio dell’alba
con le lacrime agli occhi
è entrato nella chiesa
del porto, prima di salpare,
a gettare la fede nuziale
nel cesto della questua
dei poveri.
Intorno al portocanale, in quella che è una delle passeggiate più amabili d’Italia, si raccolgono e abbracciano gli edifici più belli e tipici, tra i quali è necessario ricordare almeno la casa verde di Marino Moretti, subito dopo il ponte sul canale, una casa oggi museo che conserva ancora i mobili originali ma, soprattutto, un prezioso archivio delle carte dello scrittore tutelare della città ed una ricca biblioteca della letteratura del Novecento, ottimamente gestita con attività di grande prestigio culturale. Marino Moretti ha vissuto qui buona parte della sua esistenza, pur non negandosi mai viaggi in Francia, Paesi Bassi e oltre, esperienze che danno alla sua opera quella cifra particolare tra provincia ed Europa. Molto attivo come narratore, i suoi romanzi più conosciuti come L’Andreana oppure La vedova Fioravanti, sono proprio ambientati nella sua città, tra le vite semplici eppur complesse dei suoi abitanti e dei suoi pescatori. Ma il suo esordio fu da poeta ed alla fine della sua vita alla poesia tornerà. Così vogliamo terminare questa nostra passeggiata per Cesenatico proprio con una poesia in cui Marino Moretti non dimentica i suoi giochi semplici di bambino e “il balio pescatore” (espressione bellissima) che di questi giochi -e della poesia, come dice alla fine- gli ha fatto dono.
Gli ossi di seppia
Il ballo era cortese,
cortese era la balia
somigliante all’Italia
delle stampe in paese.
Vince il sole la nebbia
s’io mi tolga la voglia
di giocar su la soglia
coi lindi ossi di seppia.
Gli ossi di seppia sono
ciò che più avevo in cuore.
Il balio pescatore
me ne faceva dono.
La seppia a modo nostro
spariva nel suo nero.
Restò per me il mistero
presago dell’inchiostro.