Penna

Appunti penniani per un canone

La rilettura della biografia ricostruita da Elio Pecora in “Sandro penna: una cheta follia” (con quella parola, “cheta”, che mi pare così bella nel titolo) mi ha reso curioso sullo stato della percezione dell’opera del poeta romano e così, in mezzo a varie ricerche, ho tentato anche una navigazione su internet. Le pagine sono moltissime: ci sono anche forum in cui giovani lettori e poeti esprimono lo slancio della loro ammirazione per un poeta che, evidentemente, continua ad avere un nutrito gruppo di fedelissimi fans. Tra i tanti siti, ce n’è ovviamente anche qualcuno di cultura omosessuale che orgogliosamente e ostentatamente sottolinea che Penna era gay; in uno di questi siti si approfitta di un rapido riassunto della sua biografia per ricordare o svelare altri poeti omosessuali: quando si nomina Saba, ad esempio, un parentesi provvidenzialmente aperta ci avvisa che era omosessuale anche lui, per chi non lo sapesse. Un altro sito ci informa che Penna era omosessuale e pedofilo, dato che si innamorava di ragazzi preferibilmente minorenni. La cosa non sembra scandalizzare i compilatori del sito né i suoi lettori, data l’assenza di commenti al proposito nel forum, così non ci scandalizziamo neppure noi. Certo, se ad essere omosessuale e pedofilo fosse un sacerdote cattolico, ci sarebbe il sollevamento indignato dell’opinione pubblica mondiale, compresi quelli di questo stesso sito, suppongo, ma tant’è. La poesia sembra avere il potere di essere oltremorale, di volare sopra le povere convinzioni della povera opinione pubblica, che forse ormai non c’è o si muove solo alla bacchetta di chi può muoverla. Nello stesso sito vengono trattati male anche tutti coloro che espressero dubbi sull’opportunità di pubblicare certi versi intorno agli orinatoi, alle masturbazioni e agli innamoramenti pedofili penniani, Montale compreso. In questo senso Elio Pecora è più discreto e oggettivo e, nel rilevare la trasparenza, la discrezione, la naturalezza davvero senza colpe di Sandro Penna, pure non fa la contromorale omosessuale a Montale e agli altri che in periodi certo non facili come quello fascista “osarono” esprimere qualche riserva sulle poesie di un ancor sconosciuto poeta.

Alla fine della navigazione mi sono comunque chiesto cosa c’entri tutto questo con la poesia; se la sessualità di un autore, insomma, incida sulla qualità della sua opera. Mi è venuto il sospetto che la risposta negativa, per quanto apparentemente ovvia, sia frettolosa. Certo, si dirà che nessuno giudichi il valore di una vita di poesia andando a origliare nella vita di un uomo… non so se esistano siti o associazioni eterosessuali, corrispondenti nel loro essere agguerriti e preparati (culturalmente e politicamente) a quelle omosessuali. Ma dire che il poeta tal dei tali è senz’altro da leggere perché eterosessuale sarebbe ridicolo. Eppure, ripeto, non sono sicuro che la risposta sia così ovvia. Lo dico non solo perché l’orgoglio omosessuale ha conquistato fette di potere ad altissimo livello, ad esempio accademico, proprio là dove il canone poetico si deciderebbe; e neanche solo perché il maledettismo di chi, come Penna, ha dovuto soffrire per la sua identità sembra aderire pienamente all’idea di poeta come personaggio sgradito, emarginato, geniale e incompreso tanto di moda oggi in una cultura occidentale come quella italiana; ma anche perché infine a decidere il canone sono spesso circoli e salotti ai quali della poesia interessa ben poco e solo nella misura in cui è funzionale ad un’immagine di progetto della società che ha ben altri scopi. E, con l’aria che tira e le questioni sociali che sono sul tappeto oggi (una per tutte quella della famiglia), canonizzare poeti come Penna può far comodo.

Ma è poi possibile leggere la poesia di Penna prescindendo da lui? Ed è giusto (per Penna e per tutti i poeti)? Esiste il valore crocianamente assoluto di un testo? Assoluto nel senso etimologico, cioè sciolto dalle contingenze biografiche, storiche e sociali? Forse sono questioni di lana caprina, che sovvengono solo perché vorremmo liberarci del fatto che i dati biografici di molti poeti, come di Penna, hanno eccessivamente inciso sulla “canonizzazione” della loro opera; a seconda del periodo storico, politico e morale troppo in negativo o troppo in positivo. Allo stesso tempo occorre imprescindibilmente attraversare quei dati (sarà sufficiente stare davanti a quelli che l’autore stesso ha seminato nei testi; di Dante, in fondo, abbiamo ben poco di più) e solo per mezzo di essi giungere alla pedagogia che ci interessa e che, come dice Pound, non può non esserci in ogni vera poesia. Leggiamo, ad esempio, la prima e più celebre poesia di Penna:

La vita… è ricordarsi di un risveglio
triste in un treno all’alba: aver veduto
fuori la luce incerta: aver sentito
nel corpo rotto la malinconia
vergine e aspra dell’aria pungente.

Ma ricordarsi la liberazione
improvvisa è più dolce: a me vicino
un marinaio giovane: l’azzurro
e il bianco della sua divisa, e fuori
un mare tutto fresco di colore.

Il sentimento dominante è la malinconia-tristezza-dolcezza. Questo è importante, essendo il testo una definizione della vita (“la vita… è”) e il sentimento pare scaturire dal ricordo. Ha ragione Raboni quando dice che in Penna tutto è già stato, cosa che ne fa, ai nostri occhi, un testo sulla difficoltà di vivere il presente. Difficoltà che può venire dalla nevrosi di Penna, ripetutamente descritta nella biografia di Pecora, ma che è anche una efficace descrizione di una impossibilità diffusa, nostra, contemporanea. Nella poesia di Penna la contrapposizione nevrotica degli opposti è molto frequente; il miracolo sono i risultati di straordinaria trasparenza poetica che ne derivano, come in quest’altro celebre e piccolo testo:

Il mare è tutto azzurro.
Il mare è tutto calmo.
Nel cuore è quasi un urlo
di gioia. E tutto è calmo.

La calma immobile del paesaggio marino contrasta con l’urlo di gioia interiore e in questo contrasto, così semplicemente e felicemente espresso, sta il nucleo di attrattiva della poesia. Si nota ancora una volta una difficoltà ad aderire al dato della realtà: la gioia interiore sussiste nonostante il paesaggio esterno. Numerose testimonianze raccontano che la disperata baldanza di Penna sia diventata sempre più disperata e meno baldanzosa col passar del tempo, fino ad una vecchiaia di chiusura e malattia. La risposta alla malinconia sentita nel corpo rotto, ci dice il poeta in quasi tutte le sue poesie, è stata cercata nella gioia dei sensi, dell’amore omosessuale e pedofilo, nella natura, nella realizzazione di sé come poeta; una risposta sempre insufficiente però, così come sempre insoddisfacenti erano agli occhi del poeta di volta in volta le edizioni dei libri, l’uscita di raccolte e pubblicazioni, i premi e i riconoscimenti di cui il mondo letterario non fu in fondo avaro con Penna.

Il poeta non ha tralasciato di dirci che la natura non basta come risposta alla sete dell’uomo; la gioia dei sensi è una misura troppo bassa per il suo anelito; la concretizzazione del successo letterario molto al di sotto della gioia che sentiamo di meritarci. In questo non negarsi alla verità sta la grandezza di Penna, più che nel miracolo della trasparenza dello stile che, come ogni talento, è casuale e immeritato. Certo, un po’ incosciente è anche questa verità, e lo dimostra il fatto che Penna continuò a cercare la risposta dei sensi fino a consumarsi mentalmente in essa, senza affrontare nulla delle vere questioni che strutturavano la sua nevrosi, come il rapporto con la madre. Ma qui davvero si sconfina nella biografia a noi inutile. Alla fin fine il genio è raro e il canone si costruisce sempre dopo, molto dopo gli avvenimenti artistici. Ciò non significa che il tempo è giusto: non lo è col valore, almeno, che rischia di essere dimenticato per semplice mancanza di informazione dovuta al filtro del potere che usa della biografia politica e ideologica per far perdere le tracce scomode. Ma il tempo è galantuomo almeno col disvalore perché è galantuomo il cuore che, a lungo andare, si stufa di canonizzare ciò che vale poco.