Occorreva che nascessi

Gianfranco Lauretano - Occorreva che nascessi

Vedi, occorreva che nascessi perché prima

Vedi, occorreva che nascessi perché prima
c’era nel mondo un buco di parole
a chiederti così dolorosamente
da essere senza fiato né voce
da non sapere che eri tu
che giochi e ridi di nascosto
tu così, tu figlia
eri tu che non c’eri
in quel vuoto che non ricordo
tanto era assurdo
che non mi figuro più
come se fossi qui da sempre, tu che ci
sei sempre stata.

Rimango dentro gli anni consentiti

Rimango dentro gli anni consentiti
la camera sempre nuova
e fresca dove sorge la sfida
un letto di risate e confidenze
non importa, non importa se a cantare
sia allodola o usignolo
resto con te nel mattino allegro.

Sono le undici e undici, io ti amo

Sono le undici e undici, io ti amo
quasi piangendo di fronte
alla tua luce, così vera
e piena dei nostri dieci anni
ti amo quando compari
dalla porta come hai fatto
nella mia vita
portandomi il tuo viso e il tuo seno
perché potessi nutrirmi
del cielo e della terra.

Neve d’inizio d’anno, freddo

Neve d’inizio d’anno, freddo
silenzio del traffico
e dell’anima
noi fermi, non andiamo
a lavorare, non la spesa
stiamo alla finestra, leggiamo
finalmente, facciamo uno scherzo
un muso, niente appuntamenti
s’è rotto l’orologio
abbiamo mangiato
non abbiamo mangiato,siamo
felici.

Le cose aspettano il mio innamoramento

Le cose aspettano il mio innamoramento
il cielo mi ama col sole e col vento
mi ama la mia città
l’oro del tuo volto
ma non so ricambiare
vedo l’amore per me
tra le nuvole spaventose e bellissime
l’erba alta del ciglio piegata
da un soffio vasto e forte
il campanile distante e visibile
e ogni cosa che mi ama
mi ami tu che non c’eri
sull’auto ma c’eri
eccome con tutto quell’amore
così simile a te.

Ho quarant’anni

Ho quarant’anni
domani mi sveglierò
e ne avrò cinquanta
un fiume intero avrà fluito

non mi accada di girarmi
di fare gli inventari
ma se deve conterà l’amore
dato

l’amore senza cambio
preso al volo, dall’aria
e subito lasciato
che non si fermi mai.

Dobbiamo prepararci al sonno dell’inverno

Dobbiamo prepararci al sonno dell’inverno
dicono le piogge attese quattro mesi
che irrorano i paesi finalmente
le crepe della terra
mai così allargate
dobbiamo prepararci, fare gesti
che abbiano un’attesa
di nuovo anche se vecchi
aspetta, aspettati qualcosa
abbi bisogno, abbi paura
abbi bisogno di salvezza, di pioggia.

La neve è formata

La neve è formata
da minuscoli aggettivi di ghiaccio
un fiato di voce fa nascere il vento
le foglie bianche si aprono
formando un vocabolario
il mondo parlando si presenta a me.

Dicembre finalmente freddo

Dicembre finalmente freddo
l’Adriatica addobbata di luci
svogliate e natalizie
la strada svolta e si estingue in pianura
verso Cesena.
Ogni ritorno è diverso
come le case
che scorrono nel finestrino
e le prostitute
bellissime viste da qui, da dove
non si capisce la tristezza

ma come sarà
il ritorno oggi, chi sarà
il ritorno, chi
davanti alla casa aperta o
chiusa come sarà il viso
di chi mi aspetta, di chi
benedetto mi aspetta

mare Adriatico
cielo nero di Romagna, San Marino
che devi essere quelle luci
arancioni a cucuzzolo verso sinistra
anche voi pregherei
per essere sicuro di un’attesa
pregherei i sassi
le zolle ghiacciate dei campi
anche ciò che non ascolta
perché ci fosse mio padre
sulla porta

se come un regalo
senza ricorrenza lo vedessi
sulla porta dove non è mai stato
distratto dal vento ma attratto
da un figlio vagabondo
e felice di scorgerlo
come una sentinella

padre che tutto mi ha separato
io, e una troppo lunga adolescenza
un ritorno mai venuto
una casa ininfluente e prigione
la frenesia di cancellare
il campo seminato della tradizione
lui stesso che ha portato sé
al bordo di troppi
irrealizzati desideri
e tutta una vita e tante

ma so cosa davvero
ci ha tenuto lontano
il non destino che scegliamo
con malata insistenza
assenza che scoordina i fiati

pensa se fosse sulla mia porta
pensa come verrebbero le stelle
per fargli una corona
a lui che comunque
è sempre un re
con la sua faccia così vera
con le rughe che hanno
ognuna cent’anni
il suo volto grande
la cosa più simile a Dio
che io abbia visto.

Ricordo tutti i miei gol

Ricordo tutti i miei gol
strappati al nulla da un tocco quasi magico
improvvisi, incalcolabili
regalati da un vuoto d’aria
che lascia passare il pallone
dalla distrazione del difensore
che per un attimo
mi ha amato più di se stesso.

Stanze per Osip

Le poesie di Mandel’štam chiamano dal libro
in una casa nel dondolìo del mondo
culla occidentale
e noi che ci perdiamo in uno schermo
quotando indegnamente il nostro cuore
noi resuscitiamo.

Osip, ecco tuo figlio, chiedo di entrare
nel gioco del mantello lampone
del padre di Rembrandt
anch’io sono prodigo, sono tornato
a prometterti la memoria
ogni giorno avrà il suo battesimo
Giuseppe, la tua letizia
di fronte al canelupo della storia.

Che enorme sfacciata lacuna
che oblìo, amnesìa, che assenza
di parole e ginocchia.
Noi non ci andremo allo spettacolo
al party del potere
scriveremo su carta sporca e un cane
verrà il giorno dopo a cercarla
un cane sovietico con parole senza carne
e una fame irrisolvibile
a cui offrirà l’arbitrio.

Le tue poesie mi chiamano
quelle rimaste e quelle fatte a pezzi
io le sento nell’aria appena mi ricordo,
Osip, io ricordo che passando sei impazzito
nella piana siberiana
e intanto ti colpiva il miracolo del bello
nel barlume di memoria rimanente.
Il Giuda dei tempi futuri
già sputava il suo giudizio
ma senza più giurisdizione
sul tuo stupore, e mio.